Bellotti (1999) definisce l’allenamento sportivo come un processo pedagogico – educativo complesso, formativo che si completa con l’organizzazione sistematica dell’esercizio fisico, ripetuto in quantità e con intensità tali da produrre carichi interni progressivamente crescenti, che stimolano i processi fisiologici di supercompensazione dell’organismo e favoriscano l’incremento delle capacità fisiche, psichiche, tecniche e tattiche dell’atleta, al fine di crescere, consolidarne ed esaltarne il rendimento in competizione.
Secondo Starischka (1988) la pianificazione dell’allenamento è un procedimento, diretto al raggiungimento di un obiettivo di allenamento, tenendo conto dello stato individuale di prestazione, della struttura sistematica e, con carattere di previsione, del processo di allenamento (a lungo termine). Si basa sulle esperienze ricavate dalla prassi dell’allenamento e sulle nozioni ricavate dalla scienza dello sport.
Le caratteristiche più importanti della pianificazione dell’allenamento sono il suo progressivo adattamento, la sua costruzione per fasi temporali e la periodizzazione del carico sportivo.
Nella definizione di Bellotti troviamo diversi termini quali: quantità, intensità, carichi interni ed esterni, supercompensazione e rendimento. Tutto questi sono fondamentali per il raggiungimento di un obiettivo e per impostare al meglio un programma di lavoro e possono essere definiti come dei mattoni che ci permettono di costruire la nostra casa (programma di allenamento).
Quando parliamo di allenamento intendiamo quasi sempre la somministrazione di un carico di lavoro, ma che cos’è il carico di lavoro e come può essere valutato.
Secondo Schnabel, Harre, Borde (1998), il carico di allenamento è rappresentato dall’insieme degli stimoli, fisici e psichici, a cui l’atleta si sottopone per raggiungere la massima prestazione, tenendo conto di due grandezze fondamentali, ovvero volume e intensità di lavoro.
Il carico rappresenta quindi l’insieme di sollecitazioni , fisiologiche e psicologiche, che determinano gli adattamenti funzionali dell’individuo. Molti studiosi del settore usano rappresentare il carico di allenamento come il prodotto della quantità di lavoro per l’intensità del lavoro stesso (Maurin 1995) secondo la formula:
C = Q x I
dove C sta per carico, Q per quantità di allenamento e I x intensità di allenamento.
La quantità o volume di allenamento è valutata da un’unità di misura in funzione della specialità sportiva in questione (esempio: durata in minuti di una corsa; metri percorsi nel nuoto; chilometri effettuati nel ciclismo; chilogrammi utilizzati, numero di serie e ripetizioni nel sollevamento pesi etc). L’intensità di allenamento è invece un elemento caratterizzante lo sforzo interno provocato nell’individuo ed è divisibile in categorie: debole, media, alta, sub massimale, massimale (Martin, Carl, Lehnertz 1997), oppure in percentuali rispetto al massimale.
Il carico di lavoro può essere differenziato come:
- Carico Esterno: progettato in modo preciso attraverso l’indicazione dell’intensità e della quantità di un allenamento proposto, ricordandoci che questo avrà effetti differenti e specifici a seconda della disciplina , degli atleti e sullo stesso atleta in diversi periodi della sua carriera.
- Carico interno: condizionato oltre che dal carico esterno anche da altri fattori tra cui: agenti metereologici, rapporti atleta-allenatore, rapporti atleta-atleta, condizioni psico-fisiche del soggetto, attività lavorativa, motivazione etc.
Nel ciclismo il volume (o carico) di allenamento è dato semplicemente dalla combinazione della frequenza e della durata (ore o km) del lavoro. Esistono anche altri modi più complessi che richiedono l’utilizzo di rilevatori di potenza e di software di analisi ma che non andremo ad analizzare in questo articolo. L’intensità invece può essere indicata utilizzando strumenti come cardiofrequenzimetro, per rilevare la frequenza cardiaca, o rilevatori di potenza.
Altri tre fattori fondamentali e strettamente correlati per la programmazione di un allenamento sono la densità, la frequenza e il recupero. La densità rappresenta il rapporto tra il carico ed il recupero (o anche la distanza temporale tra le sessioni di allenamento). Il giusto rapporto tra questi due parametri è indispensabile per il raggiungimento di un elevato stato di forma. Il recupero è quindi una componente fondamentale del carico, da eseguirsi tra un esercizio e l’altro, tra serie di esercizi o tra sedute successive o tra differenti periodi di allenamento annuale.
La frequenza degli allenamenti è data invece dalla somma di questi ultimi nel corso della settimana.
A volte il carico di allenamento delle sessioni deve essere elevato e, di conseguenza, l’atleta sarà spesso stanco. Per questo motivo gli allenamenti pesanti sono inframmezzati da giorni di riposo e recupero, necessari in quanto è durante questi periodi, soprattutto durante il sonno che si verifica l’effettivo incremento della forma fisica, sulla base del potenziale prodotto da un carico di allenamento elevato. Questo processo di alternanza fra stress e riposo è in certa misura necessario per migliorare la forma fisica. L’adattamento corporeo a un’accresciuta forma fisica risultante da questa alternanza è noto come supercompensazione. La supercompensazione del corpo non può essere forzata, non può essere velocizzata imponendole un ritmo più veloce di quello naturale, il quale può essere più lento o più veloce in relazione all’individuo.
Al fine di stimolare i processi di adattamento e supercompensazione, il carico di allenamento deve essere stressante e alterare la condizione di equilibrio dell’organismo. Allenamenti troppo blandi o sempre uguali rischiano, nel tempo, di essere inutili perché non superano quella determinata e soggettiva soglia di attivazione dei processi di adattamento e supercompensazione.
Molto spesso per cercare il miglioramento si cerca sempre di raggiungere o di oltrepassare “il limite”. Un metodo fuori limite preclude la cancellazione del limite di chi se ne impossessa per esercitarsi. E’ dalla conoscenza del limite che si costruisce e che si individualizza l’allenamento.
Il tempo di recupero è fondamentale per permettere di supercompensare e quindi di creare l’adattamento ad un determinato carico di lavoro. Stimoli più o meno intensi creano ovviamente stress differenti all’organismo e necessiteranno di maggior tempo di recupero, variabile dalle 12 alle 72 ore, prima di essere riproposti.
Lo scarico (o anche chiamato tapering) è essenziale in ogni processo di allenamento, sia che si tratti di un atleta evoluto, o semplicemente di una persona desiderosa di raggiungere prestazioni fisiche più soddisfacenti. Esso consiste in una riduzione o della quantità o dell’intensità dei carichi, la scelta è condizionata dal momento della periodizzazione in cui viene applicato e dall’obiettivo che si vuole raggiungere.
I periodi di scarico/recupero vanno programmati, insieme a quelli di carico, a inizio stagione con molta attenzione.
Diverse ricerche hanno dimostrato che la riduzione del carico di allenamento influisce positivamente sul recupero, ma bisogna analizzare in che modo viene effettuata questa riduzione, in quanto una riduzione globale dell’allenamento, mantenuta per periodi eccessivi, porta ad una situazione di detraining, compromettendo completamente i vantaggi derivanti dall’allenamento pregresso.
Il corpo umano beneficia, se allenato, della capacità di adattamento in seguito a una stimolazione muscolare specifica, ma un periodo di insufficiente sollecitazione neuromuscolare porta al detraining. Cioè alla perdita delle capacità organico-muscolari che l’esercizio fisico mantiene attive. Il calo dell’efficienza fisica è tanto maggiore quanto maggiore è il periodo di lontananza dall’attività sportiva.
Importante quindi pianificare durata e intensità dei periodi di scarico e recupero dall’allenamento. Un adeguato bilanciamento tra lo stress (dato dal carico di allenamento, dalle competizioni e dalle esigenze della vita quotidiana) e il riposo è fondamentale per gli atleti per raggiungere continuamente livelli sempre più elevati della performance sportiva (Kellmann et al. 2018).
In sport di endurance la durata di un periodo di tapering, successivo ad un lungo periodo di carico, oscilla dai 4 ai 28 giorni e deve essere riadattata tenendo conto dello sport e della disciplina che si svolge e dei carichi precedentemente sostenuti. Il periodo di scarico è sempre preceduto da una fase di overreaching fisiologico (situazione di forte stress fisico ricercata per portare a miglioramenti prestativi se seguita da un adeguato periodo di recupero).
Un periodo di tapering inesistente o troppo breve potrebbe non essere sufficiente a smaltire la fatica muscolare dovuta al carico somministrato precedentemente e portare o overreaching o addirittura a overtraining (squilibrio dell’allenamento che si verifica quando l’attività fisica praticata è troppo intensa, tanto che l’organismo non riesce, nei tempi di recupero, a eliminare la fatica accumulata).
Marcora (2009) in una recente Ricerca ci dimostra come anche la fatica mentale diminuisca la prestazione di endurance semplicemente aumentando la percezione dello sforzo senza alterare i parametri fisiologici durante l’esercizio. Stessa cosa vale per lo stress mentale che diminuisce la capacità di recupero con conseguente aumento del carico interno (Stults-Kolehmainen 2014).
Molte volte l’atleta ha paura di recuperare troppo, di stare fermo oppure reputa che l’allenamento svolto con minore volume o intensità gli faccia perdere la forma, invece succede proprio il contrario. Il recupero risulta fondamentale per ottenere la ricompensa dall’allenamento svolto e permette di essere più freschi e prestanti il giorno della competizione. Quando parliamo di ragazzini, dobbiamo essere bravi noi allenatori/tecnici a spiegare loro questi processi ,in modo tale che vengano assorbiti e che in futuro siano consolidati.
Altre volte si cerca di forzare il recupero o di velocizzarlo attraverso massaggi, crioterapia, pressoterapia o attraverso l’utilizzo di integratori alimentari. Il recupero è fondamentale sopratutto dopo grossi carichi di lavoro e dev’essere relazionato a questi carichi. Se l’atleta ha trascorso diverse ore in sella allora dovrà dedicare le restanti ore della giornata al recupero delle forze.
Da un punto di vista psicologico, per un atleta ridurre o rallentare l’allenamento suscita la paura di di perdere il risultato e può indurre il soggetto a fare ricorso a ad aiuti per migliorare il recupero. Diverse sono le ragioni che inducono questo comportamento, ma sicuramente ve ne sono due fondamentali:
- Quando si progredisce cin una certa velocità, non si desidera diminuire l’intensità degli allenamenti per paura di perdere i risultati acquisiti
- Quando i progressi si fanno attendere, si comincia a pensare che l’unico modo per superare il punto morto sia di aumentare la quantità e l’intensità dell’allenamento
E’ importante, quindi, rimanere focalizzati su un recupero naturale dalla fatica, ovvero senza ricorrere a qualcosa che accorcia artificiosamente il processo di recupero. Dormire, nutrirsi adeguatamente e bere sufficientemente ci permettono un recupero ottimale.
Il miglior strumento di recupero non sono i massaggi, la crioterapia o altri rimedi particolari ma è il sonno. Lo scopo del sonno è rivitalizzare e ricostruire il corpo, compresi i sistemi aerobico, muscolare, scheletrico e immunitario. L’efficacia del sonno è dovuta al fatto che, quando si dorme, il corpo libera ormoni anabolici che riparano il danno subito dai muscoli e da altri tessuti morbidi durante l’allenamento. Inoltre, ha la funzione di risanare il sistema immunitario, ristrutturare le ossa, guarire infortuni di minore entità, ripristinare le riserve energetiche e molto altro.